COSA FARE QUANDO IL PROFESSIONISTA NON RICEVE LA CERTIFICAZIONE UNICA

La Certificazione Unica ha l’obiettivo di consentire al soggetto sostituito di poter detrarre la ritenuta subita nella determinazione dell’imposta dovuta, in sede di dichiarazione dei redditi. Per questo motivo, la stessa deve essere rilasciata dal sostituto d’imposta a prescindere dall’effettivo versamento, da parte di quest’ultimo, delle somme a titolo di ritenuta.
In caso di controllo della posizione reddituale del sostituito, l’Agenzia delle entrate, così come dispone l’articolo 36-ter, comma 2 lett. a del DPR 600/1973,  è chiamata a disconoscere lo scomputo, in tutto o in parte delle ritenute di acconto, nel caso in cui le stesse non risultino  “…dalle certificazioni richieste ai contribuenti”.
Con la risoluzione ministeriale n. 68/E/2009, l’Agenzia è intervenuta prevedendo la possibilità di utilizzare certificazioni diverse rispetto a quelle rilasciate dal sostituto per poter riconoscere le ritenute e quindi non solamente le certificazioni rilasciate direttamente dal sostituto d’imposta.
Secondo l’Amministrazione finanziaria, il contribuente può detrarre le ritenute purché sia in grado di documentare, in maniera inequivocabile, di averle effettivamente subite.
La prova può essere fornita mediante:
fattura con esposizione della ritenuta;
documentazione bancaria o di altri intermediari idonea a comprovare l’importo del compenso netto effettivamente percepito, al netto della ritenuta, così come risulta dalla predetta fattura. Dovrebbe, ad esempio, essere ritenuta idonea a tal fine la copia della contabile bancaria con l’indicazione dell’incasso della fattura al netto della ritenuta. Una documentazione pressoché equipollente è rappresentata dall’estratto conto bancario, a condizione di desumere chiaramente che l’incasso ivi indicato sia riferibile alla fattura “non certificata”. La stessa soluzione vale per ciò che riguarda l’assegno circolare.
L’Agenzia quindi riconosce l’idoneità della documentazione ai fini dello “scomputo delle ritenute” solo se proveniente da un soggetto terzo, e non dallo stesso contribuente assoggettato ad imposizione.
La documentazione probatoria deve  essere accompagnata, in sede di controllo ex art.36-ter, da una dichiarazione sostitutiva di atto notorio (ex art.47 del DPR n.445/00) con la quale il lavoratore autonomo attesta che:
la documentazione attestante il pagamento si riferisce ad una fattura regolarmente registrata nelle scritture contabili;
a fronte della stessa non vi sono stati altri pagamenti da parte del sostituto d’imposta.
In sostanza, si vuole evitare che il contribuente utilizzi altre contabili bancarie riferibili a diversi pagamenti con l’intento di scomputare la ritenuta riferibile a un’altra fattura.
È possibile, quindi, che il sostituto d’imposta abbia effettuato, nel corso del medesimo anno, più di un pagamento nello stesso periodo, ma – attraverso la dichiarazione sostitutiva di atto notorio – il contribuente attesti che la documentazione prodotta (fattura e, ad esempio, contabile bancaria) riguarda specificamente i compensi incassati e non certificati.
Le prove sopra elencate devono essere esibite  (anche se in tal senso mancano indicazioni da parte dell’Agenzia delle Entrate) anche nel caso di un pagamento avvenuto in contanti, quando quindi manca la tracciabilità del pagamento che dovrebbe essere “sanato” tramite la presentazione della dichiarazione sostitutiva di atto notorio accompagnata dalla fattura con esposizione della ritenuta.
Occorre ricordare che il mancato versamento delle ritenute effettuate ai fini del relativo scomputo è stato spesso al centro di posizioni controverse da parte della Giurisprudenza. Ad esempio, nelle sentenze n.14033/2006 e 12072/2008, il riconoscimento delle ritenute subite viene subordinato al versamento da parte del sostituto.
Da questo punto di vista è utile ricordare che il presupposto necessario allo scomputo è quello richiamato dall’art.22 del TUIR, ovvero la circostanza che il sostituto abbia operato e non versato la ritenuta stessa. Infatti lo stesso articolo precisa che è possibile scomputare le “ritenute di acconto operate” dalle imposte dovute; letteralmente significa che il presupposto necessario allo scomputo è la circostanza che il sostituto abbia operato la ritenuta ovvero abbia pagato il percipiente al netto di questa. Tuttavia, il sostituto, per liberarsi dall’onere impositivo, deve provare che la ritenuta sia stata effettivamente trattenuta dal sostituto.

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